Un grido di dolore, ecco cosa è racchiuso in questo volume di versi mai scritti. Era il 1930 quando il governoQuando la Poesia è un atto di Resistenza
Un grido di dolore, ecco cosa è racchiuso in questo volume di versi mai scritti. Era il 1930 quando il governo fascista italiano decise di spezzare la resistenza della Cirenaica organizzando dei campi di concentramento.
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Ben pochi sanno, infatti che non furono i nazisti ad inventare i campi. Seguendo l’esempio di fine ottocento degli invasori inglesi in Sud Africa, gli italiani, infatti, procedettero a deportare migliaia di persone di ogni età. Marce forzate dove soccombono i più deboli, disumanizzazione, sterminio, stupri, genocidio: tutte cose che gli italiani (Brava gente!) avevano già fatto.
Tutte cose che ancora oggi si negano e si tacciono.
Rajab Abuhweish, poeta libico, era detenuto al campo di El-Agheila, nella Cirenaica sud- occidentale. Senza possibilità di poter scrivere il poeta si affida alla memoria.
Un verso che si ripete come un ritornello o una mia preghiera: “Il mio solo tormento è..”
Un altro prigioniero tornato a casa nel 1934 trascrive scrupolosamente i versi che avevano scandito i giorni dell’inumana prigionia.
“Il mio solo tormento” tuttavia rimane un testo per tanti anni sconosciuto all'Italia.
E’ solo nel 2018 che due artisti, Mario Eleno e Manuela Mosè, ne vengono a conoscenza attraverso la lettura de “Il ritorno” dello scrittore libico Hisham Matar.
I versi avevano solo una traduzione in francese ed è solo in questa edizione che finalmente è stata fatta la traduzione italiana.
Trenta strofe per non dimenticare!!!!
"Mon seul tourment endurer tous les affronts je songe toujours à nos brebis à présent le fouet comme soutien pour nous aider à la besogne ils nous ont confisqué nos biens méprisable est notre vie”
(" Il mio solo tormento sopportare ogni sopruso penso sempre al nostro gregge oggi la frusta come sprone ci hanno confiscato i beni spregevole è la nostra vita")...more
Mirella Serri è docente di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea ma anche collaboratrice di Rai Storia. Letteratura e Storia si sposano perfettaMirella Serri è docente di Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea ma anche collaboratrice di Rai Storia. Letteratura e Storia si sposano perfettamente in questo testo che si legge come un coinvolgente romanzo narrandoci le esistenze di giovani oppositori spesso misconosciuti. Ma a chi si opponevano? Ovviamente a colui che oggi viene detto “il figlio del secolo" ma che allora era soprannominato “il Mascellone" (anche la storia degli epiteti ci dà l’idea di una società...). Gli antifascisti di cui Serri ci parla in quest'opera, sono quelli detti “della prima ora”, ossia, coloro che annusarono la mefitica aria ben prima della disfatta dell’8 settembre Molti furono gli uomini e le donne che accorsero all’adunata fascista perché attirati dall'illusione di una nuova forza rivoluzionaria che sembrava promettere giustizia sociale (un nome tra altri: Elio Vittorini) e collaborarono con il governo del Duce con questa immagine fallace. Ce ne furono altri, tuttavia, che da subito ebbero il presentimento prima e la certezza poi della piega sinistra della dittatura. Un’opposizione che deve entrare da subito in clandestinità e se, in primo momento, riesce a muoversi sul territorio nazionale, poi con la costituzione della “čeka”(la struttura segreta fascista aveva preso in prestito il nome dal primo servizio segreto politico sovietico) la situazione si fa sempre più difficile. Gli arresti ed i pestaggi si moltiplicarono; esemplare fu quello di Giovanni Amendola che, picchiato da ben 15 uomini, non si riprese mai dalle conseguenze del pestaggio e ne morì. Così la fuga all’estero dove si continua ad operare per opporsi al fascismo, appare, ad un certo punto inevitabile. La Francia al primo posto dove gli esuli italiani trovano rifugio. Un altro centro importante fu Tunisi. Chi sono i protagonisti di queste storie? Giorgio Amendola (detto Giorgione), i fratelli Sereni con le loro diverse scelte ma tutte mirate all’antifascismo, Ada Ascarelli, Nadia Gallico... Tanti nomi, perlopiù volutamente dimenticati perché proprio nel primo dopoguerra successe quello Serri individua come il primo seme di quello che oggi germoglia in modo sempre più vigoroso. Ci sono verità che oggi gli storici possono documentare ampiamente e che- forse-in modo un po’ tropo univoco Serri imputa al solo PCd’I e poi Pci. Certo è che le iniziali indicazioni da Mosca che vietavano la collaborazione con “i socialfascisti” spezzarono le gambe al nascente movimento che aveva gran bisogno di unione. Il 23 agosto 1939 Hitler e Stalin ratificano il famoso patto che lasciò molti a bocca aperta e che sappiamo si ruppe nel ’41 con l’invasione tedesca dell’Ucraina. Attraverso diverse storie, in diversi luoghi e tutte con il comune denominatore dell’antifascismo, Serri fa un quadro preciso dei chiaroscuri soprattutto delle azioni che anticiparono la Resistenza vera e propria. La sua tesi finali, come dicevo, ci parla di un dopoguerra in cui questi personaggi che, con modi, appartenenze e contesti differenti tra loro, avevano dedicato la propria gioventù alla causa antifascista, spesso e volentieri furono estromessi dai riconoscimenti del dopoguerra. (view spoiler)[ Serri conclude il libro lanciando un sassolino:
”I resistenti di lungo corso che, come Di Vittorio e Spano, avevano incrociato le armi con il nazismo e avevano lottato contro l’antisemitismo, si ritrovarono in sparuta minoranza. E così anche la rievocazione del piglio sanguinario e razzista della tirannia divenne secondaria rispetto ai ricordi degli antifascisti «redenti» vissuti all’ombra del regime e arrivati all’opposizione in un secondo momento. A sminuire la portata del più vero e sofferto antifascismo ci pensarono dunque coloro che con il fascismo avevano convissuto e che preferirono sostenere l’immagine di una dittatura in molti casi tollerante, capace di opere pubbliche e popolari in grado di sedurre e di attirare i giovani. Connotata da un tratto al contempo moderato e autoritario e persino indulgente verso i dissenzienti e gli oppositori. Tramandando così una storia del Ventennio che con il richiamo a un passato movimentista e popolare giustifica ancora oggi la presenza di nuove, striscianti e occulte forme di fascismo”
Ecco, se apprezzo moltissimo il fatto che una produzione saggistica vesta i panni del romanzo, c’è qualcosa che a fine lettura -e con la distanza di qualche giorno utile a far macerare i pensieri- che non mi quadra.
Concordo con il fatto (non voglio fare affermazioni totalmente spavalde non avendo una conoscenza storica totale) che i diktat da Mosca così perentori e, spesso, contraddittori, col senno di poi, siano stati, in molti casi, un freno per la lotta antifascista della prima fase.
Di fronte alla violenta entrata in scena dei mussoliniani, la società italiana si dimostra zeppa di «pisciafreddo»: così veniva chiamato chi, impaurito dalla repressione fascista, si rifugiava nel cono d’ombra della vita privata e abbandonava l’agone pubblico. E si adattava a «subire passivamente il condizionamento... come capitava a tante pecore inermi». ma perché dare ordine agli iscritti al partito di agire per la frattura con chiunque non sia allineato con Mosca?
Non tutti certamente condividevano una spaccatura nell’opposizione:
”Gli ordini del congresso di rompere con i «socialfascisti» (socialisti, GL e repubblicani) erano perentori: l’origine borghese di questi partiti avrebbe portato sicuramente a una restaurazione. Erano gruppi politici che auspicavano il ritorno ai traballanti assetti borghesi-capitalistici prefascismo. I socialdemocratici tedeschi, i socialisti, i repubblicani, i mazziniani e tutti coloro che non si riconoscevano nei programmi bolscevichi erano «socialtraditori». Questa tesi era sostenuta da tutti i comunisti? Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica italiana, recluso nella casa penale di Turi insieme ad Antonio Gramsci, ebbe modo di sapere che il leader comunista non si riconosceva nelle accuse rivolte ai «socialtraditori» in merito alla loro collaborazione con le dittature. «Lascia stare questa stupidaggine!» commentò Gramsci.
Ma di fatto:
”... l’ordine da parte di Mosca di distinguersi nettamente dai «socialtraditori» continuò a essere perentorio. La caccia a coloro che venivano definiti i novelli Giuda del socialismo non riguardava esclusivamente le organizzazioni politiche ma si estendeva alla vita privata e aveva come obiettivo anche i rapporti personali. I compagni dovevano dimostrare di non coltivare legami con i fedifraghi che celavano intese segrete con i nemici del socialismo. Le loro esistenze dovevano essere trasparenti come case di vetro e le loro più personali opzioni dovevano passare al vaglio del partito. La demonizzazione del «socialtraditore» ne coinvolgeva la famiglia e i suoi affetti. “
Prescrizioni, queste, che negli anni si muoveranno a fisarmonica con un andirivieni di veti e permessi (Come ad esempio nel ”VII congresso del Comintern, per bocca di Georgi Dimitrov, non denunciò il disastro ma annunciò il drastico cambio di rotta e il sostegno all’«unità della classe operaia contro il fascismo». Era arrivato il gran momento dell’unità! Dopo questo giro di boa, la nascita nel 1936 del Fronte popolare...”).
Sta di fatto che l’adesione ai Soviet costa ad ogni membro l’offerta della propria esistenza e dunque non solo la cieca obbedienza agli ordini del Partito ma anche l’intromissione nella propria vita privata, delle proprie relazioni (ad esempio si racconta che alla vigilia del matrimonio degli esuli tunisini Velio Spano e Nadia Gallico furono esternate rimostranze per le origini troppo borghesi della sposa...) ma in cambio non sempre e non tutti sono ripagati con la stessa moneta.
Così gli esuli tunisini saranno puniti per il loro rientro in Italia accompagnati dai servizi segreti britannici che proprio ”dal 1946 erano considerati dal Pci alla stregua dei nazisti (l’Unità del 14 marzo affermò che «Churchill e i suoi amici dimostrano una somiglianza rimarchevole con Hitler e i suoi amici»).
Il “castigo” a cui gli antifascisti tunisini sono destinati è quello della mancata riconoscenza e dunque gli viene vietato, prima, di oltrepassare le linee e unirsi ai partigiani in battaglia, e, poi, di far parte del governo di ricostruzione nel dopoguerra. La macchia britannica rimarrà indelebile lasciandoli ai margini della vita politica del dopoguerra. Serri, pertanto, sostiene che. sia i «pisciafreddo» sia i sostenitori del fascismo fino all’8 settembre, ebbero più spazio politico nel dopoguerra e sottilmente agirono instillando nella mentalità degli italiani un ricordo di un fascismo positivo.
Una lenta ma costante manipolazione della memoria ha fatto sì che molti fatti della Storia, seppur ammessi (perché innegabili) venissero candeggiati, così a molti la parola Fascismo non solo non dà nessun fastidio ma negli si è rivestita di quell'epica romana che viene guardata come fonte di salvezza.
Dunque porto a termine la lettura di quest’opera molto interessante con un dubbio: se da un lato, trovo calzante questa chiave di lettura dell’odierna affiliazione ai fascismi (nel frattempo sono nate plurali ascendenze), dall’altro non vorrei fosse una forzatura... (... o forse mi fa paura l’idea che nonostante tutto il fascismo sia sopravvissuto in modo latente come un virus altamente contagioso pronto a diffondersi alla prima occasione buona???) (hide spoiler)]...more
“” Pin sale per il carrugio, già quasi buio; e si sente solo e sperduto in quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini.”
Ma i rag “” Pin sale per il carrugio, già quasi buio; e si sente solo e sperduto in quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini.”
Ma i ragni fanno il nido?
Pin, lo scanzonato monello dei carruggi dice di sì. Sì, i ragni fanno i nidi e il posto solo lui lo sa. Un posto magico che non svela a nessuno perché nessuno fin ad ora si è rivelato degno della sua fiducia. Non certo sua sorella detta la Nera di Caruggio Lungo, prostituta che si vende ai tedeschi e alla Brigata Nera. Sicuramente neppure gli uomini che vanno a bere all’osteria che Pin prende in giro ed offende come estremo richiamo per attirarne l’attenzione. Le parole, però, rimbalzano non facendo che aumentare un profondo senso di solitudine. E’ incomprensibile e distante il mondo degli adulti.
” I grandi sono una razza ambigua e traditrice, non hanno quella serietà terribile nei giochi propria dei ragazzi, pure hanno anch'essi i loro giochi, sempre più seri, un gioco dentro l'altro che non si riesce mai a capire qual è il gioco vero.”
Eccolo Pin: a disagio con i ragazzetti della sua età e tagliato fuori anche dal mondo adulto. Ogni volta che crede di poter fidarsi vien tradito. Così aggiusta la strada del suo crescere mettendoci delle pezze che coprono un dolore profondo e l’umano bisogno di affetto e comprensione.
Ma intanto gli adulti parlano una lingua sconosciuta:
” Sten: ecco un'altra parola misteriosa. Sten, gap, sim, come si fa a ricordarsele tutte?”
E poi ci sono le donne: perché gli uomini le cercano a quel modo? Che mondo incomprensibile quello degli adulti anche in quella scalcagnata banda di partigiani fra i quali per caso finisce. Strane persone eppure così affascinanti:
” Il distaccamento del Dritto: ladruncoli, carabinieri, militi, borsaneristi, girovaghi. Gente che s'accomoda nelle piaghe della società e s'arrangia in mezzo alle storture, che non ha niente da difendere e niente da cambiare. Oppure tarati fisicamente, o fissati, o fanatici. Un'idea rivoluzionaria in loro non può nascere, legati come sono alla ruota che li macina. Oppure nascerà storta, figlia della rabbia, dell'umiliazione, come negli sproloqui del cuoco estremista. Perché combattono, allora? Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c'è coraggio, che c'è furore anche in loro. É l'offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell'anima e ci si trova dall'altra parte…”
Dagli occhi di questo monello dei carruggi si apre uno scorcio diverso sulla Resistenza, epurata dalla celebrazione di eroismi epici.
“Prima donne, poi puttane e, insieme, sovversive, al tempo periferia della periferia del genere umano.”
La Storia Ufficiale apre il portone del pas “Prima donne, poi puttane e, insieme, sovversive, al tempo periferia della periferia del genere umano.”
La Storia Ufficiale apre il portone del passato ma, al tempo stesso, chiude bene le porte laterali così che siano evidenziati solo gli eventi che riguardano la società cosiddetta borghese. I riflettori puntano s'un proscenio in cui si muovono i Grandi Protagonisti dimenticando che lo spettacolo va in scena anche grazie a chi sta dietro le quinte.
Ecco che i pezzenti e chiunque viva un disagio economico e /o sociale sono liquidati con piccoli cenni. Pochi sono gli studi che ci parlano delle marginalità e di questi pochi dobbiamo ringraziare le piccole ma coraggiose case editrici indipendenti. Anche queste vivono una condizione di minoranza nel vasto mercato editoriale rimanendo a galla nonostante abbiano meno forza economica e politica ma sicuramente sono più fedeli ad una missione culturale rispetto a quella esclusiva del far cassa.
“Puttane antifasciste…” è un chiaro esempio di tutto ciò. Si parla ancora di antifascismo - perché ce n’è sempre bisogno- ma senza la retorica che declama eroi ed eroine che imbracciano i fucili.
Matteo Dalena*, giornalista pubblicista e storico presenta una ricerca effettuata su un gruppo di 27 prostitute di tutta Italia schedate dal regime, condotta nelle carte del Casellario Politico Centrale dell’Archivio Centrale dello Stato.
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Qui si riportano alla luce esistenze segnate dal pubblico disprezzo sociale (ma ricercate nella privata perversione!). La vita di queste donne è ricostruita tramite le tracce lasciate nei faldoni delle Procure: denunce per delazioni, arresti, detenzioni, confini, internamenti…
” Figure sbiadite, dimoranti nei bassi di città decadenti dove l’esercizio della prostituzione è anticamera del crimine ma anche contenitore di piccole, quotidiane resistenze.”
Sei brevi capitoli che ci danno idea di come queste vite ripiegate negli interstizi della Storia siano significative e come ben dice nella prefazione Giovanna Vingelli (Centro di Women’s Studies - “Milly Villa”, Università della Calabria):
” Il racconto di storie femminili in ombra non significa esaltare uno specifico marginale o marginalizzato, piuttosto disvelare tutte le dissonanze che la storiografia ha occultato, proporre angoli di discontinuità e discordanza anche nella narrazione della Resistenza.”
Ovviamente queste storie sono accennate; passaggi tra le carte dove i nomi appaiono e scompaiono. Sono donne bollate come sovversive sovente solo per una frase oltraggiosa contro Il Duce. Non è un antifascismo organizzato, ragionato, strutturato ma spesso un impeto spontaneo che esprime insofferenza. Le prostitute sono, palesemente, il contrario dell’ideale reazionario femminile dedito alla casa e alla cura dell’Uomo. Nonostante ciò sono necessarie e dunque tollerate poiché l’Italia fascista ha fatto della virilità un caposaldo e sono proprio le puttane gli oggetti per dimostrare quanto si è uomini. Quello che lo Stato fa, dunque è regolamentare questa necessaria tolleranza.
Molto interessante anche il contributo intitolato "Terre di confino” di Alessandra Carelli. L’esilio come antico strumento autoritario per dichiarare un soggetto indesiderato, è utilizzato largamente dal fascismo. Si allontanano dunque non solo soggetti pericolosi ma moralmente considerati anomali, imbarazzanti senza dimenticare che il concetto di anormalità non era flessibile ma ragionava su il minimo segno di rifiuto a sottostare alle regole patriarcali e sociali. Dunque è condannata la devianza ma anche al più flebile aspirazione d’indipendenza. Non parliamo poi dell’omosessualità tollerata quando nascosta e pressata sotto silenzio; confinata quando esposta anche minimamente. E poi, per tutti coloro che sono considerati incurabili, c’è sempre il manicomio: chi non si riesce a domare con la bastone è legato con le cinghie e rinchiuso spesso a vita.
Il confino, tuttavia, è uno strumento che –nonostante le restrizioni- è sfuggito di mano. Spesso, infatti, diventa spazio di riflessione dove anche le persone ignoranti che ci capitano per caso (per delazione, dunque, e non ragionata opposizione alla dittatura fascista) si trovano a stretto contatto con veri ribelli. L’esilio diventa in questo modo laboratorio della nuova società.
“Ma la vita non è solo pensiero, è carne, nervi, sentimenti e tormenti. E a me donna interessano la tortuosità di una vita in lotta e le sue interes “Ma la vita non è solo pensiero, è carne, nervi, sentimenti e tormenti. E a me donna interessano la tortuosità di una vita in lotta e le sue interessanti contraddizioni.”
Sono particolarmente contenta di concludere il mio anno di letture e di riflessioni commentando proprio questo libro che raccoglie le testimonianze di tredici donne molto differenti tra loro per scelte, personalità e contesti ma tutte legate da l’istintiva necessità di mettersi in gioco. Questo è un punto nodale che inanella le storie: c’è un prima molto privato perché riporta all’infanzia, all’adolescenza, al proprio personale vissuto; poi c’è una scintilla che si accende perché queste donne sono state presenti a momenti storici che richiedevano una risposta in termini d’azione.
Tredici donne che – in modi molto diverso- non si sono sottratte alla storia.
” Poi mi sono appassionata e ho raccolto le biografie di altre incontrate, di qua e di là dell’oceano, con lo stesso percorso di vita iniziato di slancio sull’onda della bella gioventù e del sol dell’avvenire. E sono diventate tante, tredici addirittura, di queste, due non hanno preso le armi ma sono nate sotto dittature: una di destra, il Portogallo di Salazar, l’altra di “sinistra” l’Albania di Enver Hoxha, hanno lottato per abbatterle. Sono “in ordine di apparizione”: Enza Siccardi (anarchica), Petra Krause (internazionalista), Susanna Ronconi (Prima linea), Marisa (Frap, Spagna), Nadia Ponti (Brigate rosse), Aitana (Frap, Spagna), Diana Chuli (Albania), Emanuela “Kit” Bertoli (Autonomia operaia), Franca Salerno (Nuclei armati proletari), Sylvia Ruth Torres (Fronte sandinista di liberazione nazionale, Nicaragua), Maria Delia Cornejo (Frente popolare di liberazione, El Salvador), Clara Queiroz (Portogallo), Nesrin Abdullah (Ypg, Rojava).”
Rosella Simone ha costruito molto saggiamente queste testimonianze a cui lei stessa non si nega. Ogni storia, di fatti, è preceduta da un breve flashback che l’autrice stessa fa condividendo il racconto della propria esperienza. Le donne che qui si raccontano, in realtà, non hanno il comune denominatore di aver imbracciato un’arma come il titolo farebbe supporre. Tutte si sono trovate in situazioni in diverso modo conflittuale: conflitto tra la comunità e lo Stato. Alcune hanno sparato, altre hanno collaborato con altre forme di dissenso. Quasi tutte, però, hanno avuto l’esperienza del carcere. Tutte si sono misurate con la propria femminilità in contesti che, a dispetto delle parole, ruotavano sempre attorno a comportamenti grettamente maschilisti.
Accanto alle lotte politico-sociali, dunque, prendevano corpo in modo parallelo i percorsi di autocoscienza ed autoaffermazione. Si difendono degli ideali contro le logiche di sfruttamento della miseria ma parallelamente si combattono tutti quegli stereotipi degradanti che hanno fondato la comunità e che non si debellano in automatico con il diffondersi degli ideali libertari. La donna combattente scompiglia quell’ordinata dimensione che vede i generi incasellati ognuno nel proprio ruolo.
” L’eroe maschio è colui il quale compie il gesto coraggioso per proteggere il bene altrui o comune, dunque un gesto pubblico riconosciuto dagli altri. L’epica femminile invece non esiste, il suo coraggio è speso nelle virtù personali per secoli storicamente definite “silenziose e invisibili”, una definizione che mi ha sempre mostruosamente irritato anche se solo molto più tardi mi sono posta la questione in termini di genere, all’inizio ero “l’eroe”, punto.”
Ogni testimonianza raccolta ci racconta una sfumatura. Trovo che tra tutte quella di Susanna Ronconi sia una delle analisi più lucide in merito non solo alla propria esperienza ma al clima, all’aria che si respirava. Riguardarsi, ri-raccontarsi sono, pertanto non atti chiusi in se stessi ma percorsi di un soggetto all’interno di un territorio e di una comunità. Ripensarsi in termini di fallimento, poi, è uno stimolo a reagire, a far sì che la memoria non sia subita ma diventi un’arma che questa volta non annienta ma costruisce nuovi scenari:
La convinzione generale è che le storie degli sconfitti non abbiano rilevanza, per me invece sono l’altra storia e ho cercato di scoprire cosa ci insegnano le biografie del dolore, della sofferenza, degli smarrimenti. Alle persone in difficoltà con cui ho lavorato ho proposto il mio stesso attraversamento della memoria per cercare di trovare nell’oscuro delle loro vite, nella sofferenza, nel dramma, nella sconfitta della loro biografia una forza, un apprendimento, una serie di saperi accumulati durante la vita per quanto povera, emarginata e rabbiosa possa essere. Ho proposto loro insomma l’uso sovversivo della memoria.” -------------------- ” In quanto a me ho passato la prima parte della vita a pensarmi intera e con un’identità forte, militante e combattente. L’identità più forte che ci sia, l’ideologia dava alla vita un senso a tutto tondo, sapevo quale era la cosa giusta da fare e per quella ero disponibile a morire. Ho passato i miei primi trentacinque anni più o meno così, e adesso sono molto felice di dichiarare la mia molteplicità e fluidità. È anche il motivo per cui ho tante appartenenze collettive, associative, nessuna delle quali totale. Non cerco più appartenenze pesanti, non le voglio. Non cerco la verità, preferisco indugiare sul pensiero indiziario, mi lascio aperte una serie di ipotesi e di possibilità.”...more
A volte ci si aggrappa a luoghi comuni per coprire le proprie manchevolezze. Nel mio caso, la pigrizia vigliaccamente si scherCi sono armadi e armadi….
A volte ci si aggrappa a luoghi comuni per coprire le proprie manchevolezze. Nel mio caso, la pigrizia vigliaccamente si scherma dicendo; «non esistono più le stagioni di una volta!». Il risultato è che, per giorni e giorni, ignoro il mio guardaroba. Se apro le ante mi si para davanti uno spettacolo disordinato di abiti che, a seconda del tempo, sono troppo leggeri, o al contrario, troppo pesanti. Me ne vergogno ma continuo a far finta che non ci sia questo dissidio tra me la meteorologia. M’imbarazzo del mio caotico privato ma, in fondo, a chi do fastidio se non a me stessa? A chi faccio del male?
C’è un altro armadio invece… [image]
” Un vecchio mobile di tipo ministeriale, marrone scuro, in più parti tarlato. Stava alla fine di un corridoio defilato della Procura generale militare, in un andito seminascosto e poco frequentato del magnifico palazzo cinquecentesco, un tempo proprietà della famiglia Cesi, in via degli Acquasparta, a Roma. Le due ante rivolte verso il muro, forse perché a nessuno venisse in mente di aprirlo o, forse, perché, mi venne istintivo pensare, come per un atteggiamento di vergogna”
Quell’armadio si sentiva a disagio perché ciò che conteneva non era semplice carta ma il segno nero dell’inchiostro che raccontava storie dei giorni in cui le bestie a due gambe giravano liberamente.
” Quindici, forse ventimila civili, in gran numero bambini, donne e anziani, uccisi senza pietà da nazisti e da fascisti che aderivano alla Repubblica di Salò. Le migliaia, forse decine di migliaia, di nostri militari trucidati proditoriamente dagli scherani di Hitler dopo che avevano alzato bandiera bianca. I settecentomila soldati, sempre nostri soldati, gettati nei campi di prigionia nazisti di cui un’infima minoranza aderì a Salò (molti lo fecero esclusivamente per fame) e cinquantamila non tornarono più.”
Delle braccia hanno appoggiato sui ripiani questi faldoni; pigiando e spingendo perché poi se ne contarono seicento novantacinque (695!!!).
Delle mani hanno chiuso quella ante.
Delle spalle si sono girate e delle orecchie si sono tappate per non sentire le grida di chi cercava giustizia.
Chi ha occultato e perché?
“Le vicende umane sono molteplici, infinite. Ma la storia, quella che dice del passato e insegna per il futuro, è una sola”
E’ il 1994 (!!!) quando l’armadio è riaperto e si muove la macchina della giustizia anche se con gran difficoltà, zoppicando. Sono passati cinquant’anni (!!!!) e si fa fatica a ritrovare sia vittime superstiti sia carnefici; alcuni molto invecchiati, altri, ormai morti. La memoria si sforza ma a volte è sconfitta perché in molti casi i nazi-fascisti coprivano il volto con una retina creata appositamente per non farsi riconoscere (!!!!). L’armadio contiene, però, quasi tutti i nomi e anche gli atti di sentenze che furono emesse negli anni immediatamente dopo la fine della guerra. Sì, qualche processo ci fu ma come ci si sente a leggere storie come questa?
” Paludi di Fucecchio (Pistoia): tre anni per 184 omicidi
23.8.1944 È la bilancia l’emblema della giustizia: colpa e pena in un equilibrio ideale. Ecco, mettete su uno dei piatti l’assassinio di 27 bambini, 63 donne e 94 uomini, per lo più vecchi. Fa 184 morti, (più 22 feriti). Sull’altro piatto: 3 anni di carcere, cioè 36 mesi, vale a dire 1095 giorni, un’età che alcuni di quei bimbi non avevano neanche lontanamente raggiunto. Neanche sei giorni per ogni vittima, attesta una macabra contabilità. Negli antichi fascicoli nascosti nell’Armadio della vergogna c’è anche di questo, una sentenza che grida sdegno, orrore, vendetta. La emisero il 23 settembre del 1948, a Firenze, cinque giudici militari italiani, un generale e quattro tenenti colonnelli. “
“Spesso l'autore si è rammaricato di dover tracciare un quadro così fosco; ma una maggior luce sarebbe stata una menzogna. H. F. Berlino, ottobre 1946 “Spesso l'autore si è rammaricato di dover tracciare un quadro così fosco; ma una maggior luce sarebbe stata una menzogna. H. F. Berlino, ottobre 1946.
Otto e Anna Quangel sono i nomi di fantasia che ricalcano le vicende reali di una coppia di mezz’età berlinese nel biennio tra il 1940 ed il 1942. Partendo dai documenti della Gestapo, Fallada ricostruisce gli eventi immaginandosi la vita privata dei coniugi che per più di ventiquattro mesi scrissero cartoline contro il regime nazista disseminandole per la città con la speranza di risvegliare le coscienze.
Se i pensieri e la vita domestica dei personaggi sono frutto della fantasia, quella che è l’atmosfera generale non si discosta dalla realtà ma rende omaggio alla grande protagonista di quell’epoca (e, a dirla tutta, di ogni epoca e luogo dove si concretizza quell’orrida condizione dell’ homo homini lupus): la paura.
Quel terrore che paralizza ed inibisce non solo le azioni ma anche i pensieri. Quel panico che assale anche i pochi che osano ribellarsi facendo tremare le loro mani e battere i loro cuori all'impazzata. Ma i pochi che agiscono contro il nazismo conservano la certezza di morire sapendo di aver vissuto una vita onesta. Questa è la differenza. Sottile come carta velina pesante come una lastra di marmo.
Addentrarsi in questa storia, girare queste pagine è stata una vera e propria discesa infernale tanto da chiedersi se esista un fondo alla malvagità.
Ma non chiamatela bestialità, per favore, persino gli animali a confronto di certi uomini hanno dei limiti che rispettano!!!
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”- Cosa possiamo farci, - Otto Quangel si difende disperatamente contro questa insistenza. - Siamo soltanto in pochi, e tutti gli altri, milioni, sono per lui, e tanto più adesso dopo la vittoria sulla Francia. Nulla, possiamo fare. - Non è vero, possiamo fare molto, - sussurra lei. - Possiamo guastare le macchine, lavorare lentamente e male, strappare i loro manifesti e incollarne altri in cui diciamo alla gente in che modo l'ingannano e la tradiscono. - E ancora più a bassa voce: - Ma la cosa più importante è: essere diversi da loro, che non riescano a farci pensare e agire come loro. Non diventeremo mai nazisti, anche se dovessero vincere il mondo intero. - E che cosa otterremo con questo, Trudel? - chiede Otto Quangel, piano. - Non vedo che cosa potremo ottenere con questo. - Babbo, - risponde lei, - anch'io non capivo, in principio, e forse neanche adesso lo capisco interamente. Ma sai, qui, in segreto, abbiamo formato una cellula di resistenza nella fabbrica; è ancora molto piccola, tre uomini e io. Uno di noi tre ha cercato di spiegarmelo. Noi siamo, egli ha detto, come il buon seme in un campo pieno di erbacce. Se non ci fosse il buon seme, tutto il campo sarebbe invaso dalle erbacce. E il buon seme si può diffondere...”...more
“Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era pre “Ragazzi, teniamo di vista la libertà”
“Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana, tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche.”
Eccomi subito immersa in questo tempo d’attesa: è il caos all'indomani dell'8 settembre. Johnny ha disertato e si nasconde; i sensi sono in allerta, però, non solo per timore di essere scoperto ma per l’insorgere di un desiderio crescente. Anzi, un vero e proprio bisogno: esserci, partecipare, essere attivi con il precipuo obiettivo di colpire ed annientare i nazifascisti. La parola “partigiano” comincia ad essere masticata e, pian piano, prende sapore.
” Partí verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana.”
Dalla prima all’ultima parola ci si trova immersi, invischiati in un conflitto multiforme, perché non è solo l’opposizione alle camicie nere ed i loro alleati ma anche tra gli stessi partigiani i colori distinguono in base alle proprie origini sociali e politiche e – soprattutto- divide l’idea di ciò che si farà dopo lo stupro del ventennio fascista Fazzoletti azzurri e fazzoletti rossi si sfidano con gli occhi mentre cercano di centrare lo stesso obiettivo. L’ostilità, tuttavia, è dilagante tanto che Fenoglio la trasferisce in tutta la sintassi. Da subito leggi con l’impressione di trovarti sotto un fuoco di granate. Queste parole scoppiano, attaccano, percuotono, feriscono con tutto il loro carico represso di rabbia:
” Il primo autunno appariva all’agonia, a fine Settembre la trentenne natura si contorceva nei fits della menopausa, nera tristezza piombata sulle colline derubate dei naturali colori, una trucità da mozzare il fiato nella plumbea colata del fiume annegoso, lambente le basse sponde d’infida malta, tra i pioppeti lontani, tetri e come moltiplicantisi come mazzo di carte in prestidigitazione ai suoi occhi surmenagés. E il vento soffiava a una frequenza non di stagione, a velocità e forza innaturale, decisamente demoniaco nelle lunghe notti.”
Un romanzo “maschio” e crudo perché qui si raccontano giorni brutali dove i minuti galoppano durante il combattimento per poi dilatarsi nei tempi dell’attesa e in quello sbandamento che rende orfani di un rifugio e lascia in solitudine a difendere la propria sopravvivenza.
Molti (troppi) l'hanno dimenticata... ...molti (troppi) non ne sanno nulla... ... ma è la nostra storia.
---------------------------- Tre sassolini nella scarpa. Me li tolgo e non ci penso più…
Primo sassolino
Non mi piace molto leggere romanzi raffazzonati da curatori editoriali seppur scrupolosi, attenti e con tutte le buone intenzioni. Ingenuamente, forse, mi sembra una mancanza di rispetto nei confronti dell’autore che non ha avuto modo di dare l’ultima parola. La vicenda editoriale di questo romanzo è contorta nelle sue differenti prospettive ma quel che conta è che queste pagine siano state pubblicate. E’ stata una meravigliosa esperienza di lettura.
Secondo sassolino
Non è un romanzo facile sia per l’uso dei termini inglesi (che, a onor del vero, si alleggeriscono nella seconda parte) che talvolta stridono con il loro suono così differente rispetto alla nostra lingua. Il ritmo a me è risultato spezzato. In realtà, chi ne sa di più, ha coniato il termine di feninglese che sta proprio ad indicare una coerente amalgama linguistica o, comunque, un ibrido. Colpisce che la scelta di questi inserimenti si accoppi ad un uso sorprendente della nostra lingua: è un’esplosione sintattica che non può lasciare indifferenti.
Terzo sassolino
Johnny si ribella al vento nero ma riproduce stereotipi e pregiudizi di stampo reazionario. Questi riguardano in primo luogo le donne e poi anche i meridionali. Trovo giusto dirlo, sottolineando, tuttavia, che si tratta di preconcetti che rientrano perfettamente nei tempi storici e geografici: mi hanno dato fastidio ma li ho capiti.
”Per l’umidità della terra di scontro, molti tossivano, tutti di quando in quando si schiarivano la gola, e la carrucola del pozzo cigolava. Il cuore di Johnny s’apriva e scioglieva, girò tutta l’aia apposta per farsi partecipe e sciente d’ogni uomo. Erano gli uomini che avevano combattuto con lui, che stavano dalla sua parte anziché all’opposta. E lui era uno di loro, gli si era completamente liquefatto dentro il senso umiliante dello stacco di classe. Egli era come loro, bello come loro se erano belli, brutto come loro, se brutti, Avevano combattuto con lui, erano nati e vissuti, ognuno con la sua origine, giochi, lavori, vizi, solitudine e sviamenti, per trovarsi insieme a quella battaglia.”...more
Che Agnese morirà lo sai già dal titolo. Eppure leggi sperando che ciò non accada.
Grassa, malata, vecchia, con occhi duri (”un aspetto che non dava troChe Agnese morirà lo sai già dal titolo. Eppure leggi sperando che ciò non accada.
Grassa, malata, vecchia, con occhi duri (”un aspetto che non dava troppo coraggio”) ma forte dentro. Capace di affrontare a viso aperto questi tedeschi che le risultavano così inumani:
” L’aia, la campagna, il mondo furono guastati dai loro aspetti meccanici disumani, pelle, ciglia, capelli quasi tutti di un solo colore sbiadito, e occhi stretti, crudeli, opachi come di vetro sporco. I mitra sembravano parte di essi, della loro stessa sostanza viva.”
Non esiste un libro sulla Resistenza che assolva il compito di parlare di tutto.
Troppi aspetti, troppi risvolti... Qui si narra di un modo per affrontare la paura. Dell’odio per chi non dimostra umanità alcuna.
Rileggo questo testo dopo tanti anni eppure ritrovo intatta l’Agnese di Palita che ciabatta nei terreni paludosi della Valle di Comacchio.
L’Agnese di Palita: moglie e madre della Resistenza.
Mi emoziona ancora e forse ancor di più…
” Un giorno, a un tratto, la libertà si fermò. Non aveva più voglia di camminare. Se ne infischiava di quelli che l’aspettavano, mancava all’appuntamento senza un motivo, come fanno gli innamorati già un po’ stanchi.”...more