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Come l'acqua che spezza la polvere
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SPECCHIO DEL MARE
Seconda volta che leggo l’anglo-sudafricana Deborah Levy (A nuoto verso casa la prima) e non posso non rimarcare la vena di eccentricità che serpeggia costante nelle sue pagine: Rose, la mamma della venticinquenne Sophie, o Sofia, che è l’io narrante, soffre di un dolore muscolare o articolare o neurologico che le impedisce di camminare tutte le volte che ha qualcuno a distanza ravvicinata da cui potersi far sorreggere; la tedesca Inge indossa scarpe da uomo con i pantaloncini corti, scarpe che ha molto desiderato, ma presto le butta in mare; il dottor Gomez, primario e proprietario della costosa clinica privata spagnola, è un concentrato di bizzarrie, da come parla a come e cosa mangia a come si muove e gesticola. Eccetera.
Tutto e tutti sembrano essere una cosa e anche un’altra, questo e quello. Per esempio, malata e sana, americano e spagnolo, inglese e greca. Fermo e in movimento. Bella e mostruosa. Eccetera.
Ma la Levy ha la capacità di rendere l’improbabile verosimile.
Beheaded Medusa
Alla lista delle eccentricità aggiungerei la traduzione italiana del titolo che da Hot Milk diventa il lacrimoso e secondo me malriuscito Come l’acqua che spezza la polvere che io continuo a leggere come l’acqua che spazza la polvere.
D’altra parte Hot Milk ha davvero poco a che spartire con l’assolata lunare Almería (Spagna del sud) dove la storia della Levy è in grandissima parte ambientata, tra meduse e Medusa, umori strani, crisi finanziaria e confini fatti di sabbia.
I numerosi capitoli, tutti abbastanza brevi, sono spesso intervallati da altri ancora più brevi, proprio minuscoli e scritti in corsivo che esprimono una voce diversa da quella della narratrice Sofia Papastergiadis, o Sophie, o Zoffie come la chiama la sua nuova amica tedesca Ingrid Bauer, Inge.
Medusas
Sofia sembra rimuginare di continuo: il romanzo non ha la struttura del flusso di coscienza, ci sono numerosi dialoghi e descrizioni, ma dello stream of consciousness ha il suono e il ritmo ipnotico, probabilmente proprio per via del ruminare mentale della protagonista e narratrice.
Sofia spesso non risponde alle domande che le pongono: se le ripete tra sé e sé e la risposta rimane solo mentale, forse perduta dietro le altre mille domande che le sgorgano nella ricerca del senso della vita e di se stessa.
Un rimestio interiore che ha ereditato dalla sua situazione familiare: il padre greco ha lasciato la sua madre inglese e lei bambina per tornare ad Atene dove si è rifatto una nuova famiglia sposando una ragazza di quarant’anni più giovane che ha ancora l’apparecchio per i denti e mettendo al mondo una creaturina che è la sorella minore di Sophie. Si è convertito al cattolicesimo, o qualcosa di simile, prega, ringrazia per il cibo, e minaccia di lasciare l’intera eredità in beneficienza.
Dal lato materno l’eredità è una catena di depressioni e anaffettività: nel primo caso, la stessa madre e la nonna materna – nel secondo caso entrambi i nonni materni.
Almadraba de Monteleva
Nel suo modo sghembo Deborah Levy scrive un romanzo sul rapporto madre e figlia.
Niente madri “cattive” e figlie oscure, dalle sue parti. Ma fragilità, distanza, scarsa comunicazione. Sophie ha dedicato la vita ad accudire la madre finta o vera paralitica, ha perfino rinunciato al suo dottorato in antropologia. Eppure, da qualche parte, è probabile ci sia una stella anche per lei, dedicata a lei, che possa fungere da luce guida. Da faro.
Magari nella Via Lattea. Se nona ltro per giustificare l’hot milk.
PS
In arabo Almería significa “specchio del mare”.
Punta de Cerro Negro
Playa de los Muertos, per nudisti.
Las Presillas Bajas.
Seconda volta che leggo l’anglo-sudafricana Deborah Levy (A nuoto verso casa la prima) e non posso non rimarcare la vena di eccentricità che serpeggia costante nelle sue pagine: Rose, la mamma della venticinquenne Sophie, o Sofia, che è l’io narrante, soffre di un dolore muscolare o articolare o neurologico che le impedisce di camminare tutte le volte che ha qualcuno a distanza ravvicinata da cui potersi far sorreggere; la tedesca Inge indossa scarpe da uomo con i pantaloncini corti, scarpe che ha molto desiderato, ma presto le butta in mare; il dottor Gomez, primario e proprietario della costosa clinica privata spagnola, è un concentrato di bizzarrie, da come parla a come e cosa mangia a come si muove e gesticola. Eccetera.
Tutto e tutti sembrano essere una cosa e anche un’altra, questo e quello. Per esempio, malata e sana, americano e spagnolo, inglese e greca. Fermo e in movimento. Bella e mostruosa. Eccetera.
Ma la Levy ha la capacità di rendere l’improbabile verosimile.
Beheaded Medusa
Alla lista delle eccentricità aggiungerei la traduzione italiana del titolo che da Hot Milk diventa il lacrimoso e secondo me malriuscito Come l’acqua che spezza la polvere che io continuo a leggere come l’acqua che spazza la polvere.
D’altra parte Hot Milk ha davvero poco a che spartire con l’assolata lunare Almería (Spagna del sud) dove la storia della Levy è in grandissima parte ambientata, tra meduse e Medusa, umori strani, crisi finanziaria e confini fatti di sabbia.
I numerosi capitoli, tutti abbastanza brevi, sono spesso intervallati da altri ancora più brevi, proprio minuscoli e scritti in corsivo che esprimono una voce diversa da quella della narratrice Sofia Papastergiadis, o Sophie, o Zoffie come la chiama la sua nuova amica tedesca Ingrid Bauer, Inge.
Medusas
Sofia sembra rimuginare di continuo: il romanzo non ha la struttura del flusso di coscienza, ci sono numerosi dialoghi e descrizioni, ma dello stream of consciousness ha il suono e il ritmo ipnotico, probabilmente proprio per via del ruminare mentale della protagonista e narratrice.
Sofia spesso non risponde alle domande che le pongono: se le ripete tra sé e sé e la risposta rimane solo mentale, forse perduta dietro le altre mille domande che le sgorgano nella ricerca del senso della vita e di se stessa.
Un rimestio interiore che ha ereditato dalla sua situazione familiare: il padre greco ha lasciato la sua madre inglese e lei bambina per tornare ad Atene dove si è rifatto una nuova famiglia sposando una ragazza di quarant’anni più giovane che ha ancora l’apparecchio per i denti e mettendo al mondo una creaturina che è la sorella minore di Sophie. Si è convertito al cattolicesimo, o qualcosa di simile, prega, ringrazia per il cibo, e minaccia di lasciare l’intera eredità in beneficienza.
Dal lato materno l’eredità è una catena di depressioni e anaffettività: nel primo caso, la stessa madre e la nonna materna – nel secondo caso entrambi i nonni materni.
Almadraba de Monteleva
Nel suo modo sghembo Deborah Levy scrive un romanzo sul rapporto madre e figlia.
Niente madri “cattive” e figlie oscure, dalle sue parti. Ma fragilità, distanza, scarsa comunicazione. Sophie ha dedicato la vita ad accudire la madre finta o vera paralitica, ha perfino rinunciato al suo dottorato in antropologia. Eppure, da qualche parte, è probabile ci sia una stella anche per lei, dedicata a lei, che possa fungere da luce guida. Da faro.
Magari nella Via Lattea. Se nona ltro per giustificare l’hot milk.
PS
In arabo Almería significa “specchio del mare”.
Punta de Cerro Negro
Playa de los Muertos, per nudisti.
Las Presillas Bajas.
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